giovedì 5 giugno 2008

1981: con Villeneuve, sul lago di Como





Nel 1981 avevo già concluso la collaborazione regolare con "Antenna Nord", ma ogni tanto mi veniva ancora richiesto qualche servizio. Così ci fu l'occasione di incontrare Gilles Villeneuve, che stava per acquistare una barca offshore nel cantiere di Tullio Abbate a Lenno, sul Lago di Como ed io andai a intervistarlo, per la Tv e per Gente. Fu un incontro molto piacevole, con lui c'era anche la moglie Joanna. Parlammo di Formula uno, di barche, dei figli Jacques (futuro campione del mondo) e Melanie, dei suoi guadagni, dell'amico Pironi, di Enzo Ferrari, della sua paura di morire. (Certo che ho paura", mi disse. "Ho paura quando sono a casa, quando penso alla mia vita, ai rischi che corro. Ma quando salgo sulla mia Ferrari la paura scompare. In quel momento non c'entra Joanna, né Jacques, né Melanie. C'entra solo la gara, la voglia di vincere". Purtroppo Gilles ci lasciò soltanto dieci mesi dopo.

lunedì 19 maggio 2008

Aprile 1982: con Oliva fu un match




Patrizio Oliva aveva 23 anni e aveva già vinto il titolo olimpico, ma non era ancora diventato campione del mondo. Lo incontrai a Cento (Ferrara), in occasione di una premiazione. Feci l'intervista al ristorante, seduto accanto a lui, durante la cena, che essendo "ufficiale" durò quasi due ore. Lo stesso tempo dell'intervista. Fu un vero e proprio match tra il giornalista e il pugile. Lo lavorai ai fianchi, lo anestetizzai di domande, al punto che un suo amico, dopo solo mezz'ora, gli disse: "Vuoi che te lo levi di torno?". "No, no, mi diverto, voglio vedere chi resiste di più". Fu un match pari. Alla fine sfiniti tutti e due. Parlammo della sua carriera di campione predestinato, di Napoli, del razzismo, della sua costosa passione per le auto, della sua paura di volare e di mille altre cose. E, finita la cena, sulla sua automobile, volle farmi ascoltare in anteprima le canzoni che stava per incidere come cantante. Un'intervista molto divertente.

Gennaio 2005: a casa di Milva la Rossa



Un'ora e mezza a casa di Milva la Rossa, nel centro di Milano. A parlare dell'Italia, dove è sempre stata meno amata che all'estero, del governo Berlusconi che non la faceva lavorare, della figlia avuta da Maurizio Corgnati, del Festival di Sanremo, dei talenti emergenti della canzone italiana e via e via. Un'intervista che finì con una triste ammissione: "Il mio amore con il professor Roberto Bertozzi, che dura da sette anni, sembra finito. Lui non ha più telefonato". Ma con un'appendice a sorpresa. Milva mi telefonò in redazione due giorni dopo, fortunatamente prima che l'articolo uscisse. "Sa, a proposito del professore... Non so come dirlo", mi spiegò "la situazione non è più come ho detto a casa mia. Roberto mi ha telefonato. Mi ha detto "Rivediamoci, ti prego". Ecco, vede com'è la vita? La situazione si è ribaltata nel giro di poche ore".

2004: al telefono con Gervaso



Secondo le regole antiche (che ora per molti purtroppo sono diventate obsolete) per scrivere un buon articolo bisogna andare sul posto, parlare con la gente, capirne gli umori e la veridicità. Al telefono tutto diventa più freddo, irreale e con una credibilità a rischio. Tanto più un'intervista. Ma non sempre. Con Roberto Gervaso, per esempio, ho avuto un "incontro telefonico" che mi ha soddisfatto appieno. Lo scrittore, parlandomi di un suo nuovo libro mi raccontò un sacco di cose interessanti. Per esempio la sua battaglia vinta contro un tumore alla prostata ("Nel 1997 Berlusconi", mi disse "fu operato per lo stesso problema"), oppure la sua grande amicizia con lo stesso Berlusconi, che gli mise a disposizione i suoi aerei personali per consentirgli, durante la convalescenza, di trascorrere i weekend a Roma. Oppure ancora il suo grande amore per i cani e il dolore non rimarginato per la scomparsa della sua cagnolina Vaniglia.

domenica 18 maggio 2008

1980: i sei gemelli Giannini a casa







Tre mesi dopo la nascita, avvenuta al'ospedale di Careggi, a Firenze, l'11 gennaio 1980, i sei gemelli Giannini entrarono per la prima volta nella loro casa di Soci, in provincia di Arezzo e io, con il "fotografo delle dive" Bruno Oliviero, celebrai l'evento con un servizio su "Gente". Tre mesi prima avevo ottenuto l'esclusiva mondiale, un colpo giornalistico piuttosto clamoroso. Avevo bruciato la concorrenza dei giornali più importanti d'Italia e del mondo. Posso svelare, adesso, un retroscena. Quando il direttore, Antonio Terzi, mi inviò a Firenze, era convinto che l'esclusiva fosse già stata appannaggio della Rizzoli per la cifra, allora astronomica, di 100 milioni di lire. E mi spiegò che, a Firenze, avrei più che altro dovuto scoprire i retroscena di quella "vendita". Aveva già pronto il titolo: "Cento milioni? No grazie". Invece io riuscii a ribaltare la situazione. In effetti c'erano stati contatti, ma io fui più convincente con la famiglia Giannini e con il loro avvocato-amico Paride Ozino. Cosicché in pochi ore strappai l'esclusiva per "soli" 10 milioni. Da allora i Giannini entrarono a far parte della grande famiglia Rusconi (ora Hachette). Ricevevano un "gettone", è vero, per ogni servizio, ma, per dimostrare il rapporto d'affetto che si era instaurato con la famiglia, anche i regali di natale aziendali, come tutti i figli dei dipendenti...

sabato 17 maggio 2008

1980: in sala operatoria per un trapianto





Non era la prima volta che assistevo, in una sala operatoria, a un intervento chirurgico. Mi era già capitato due volte a Parma, per un'operazione ai tendini di un bambino vietnamita e per la sostituzione di una valvola cardiaca. Ma era la prima volta che assistevo a un trapianto di rene. Per un paio d'ore, all'ospedale Niguarda, seguii il lavoro dell'equipe chirurgica del reparto "Pizzamiglio secondo" del Niguarda, a Milano, diretta dal professor Lino Belli. Prima del trapianto parlai con il paziente, un operaio di Veduggio e nella stessa giornata andai a trovare i familiari del povero ragazzo di 17 anni che aveva perduto la vita in un incidente con il ciclomotore e i cui reni erano stati donati a due malati in lista d'attesa. Il servizio mi diede anche l'opportunità di parlare con i dirigenti milanesi dell'Aido, alle prese allora con il problema di sensibilizzare la gente alla donazione degli organi, una scelta che a quei tempi stentava ancora a decollare.

1983:...e Mennea decise di parlare





Ero abituato a un Mennea poco loquace, diffidente nei confronti dei giornalisti, un po' scontroso e musone, sfuggente. Invece in occasione della Pasqua dell'atleta del 1983, a Milano, mi trovai di fronte un Mennea assolutamente inaspettato. Aperto, ironico, disponibile, simpatico. Passeggiammo insieme per più di un'ora ai Giardini Pubblici e riuscii a farlo parlare di tutto: del suo ritorno all'atletica dopo una sosta di due anni, del suo grande maestro Vittori, della fidanzata, della sua azienda di abbigliamento sportivo, del suo approccio con la politica, del suo "doping" personale: litri di caffè. "Io in pratica vado a caffè", mi disse. E mi fece i nomi dei compagni della sua prima staffetta: Pallamolla, Gambatesa e Acquafredda. "Le prime volte", aggiunse "Pallamolla mi batteva sempre".

1979: Cochi Ponzoni l'autarchico



Avevo già intervistato Cochi, assieme a Renato, qualche anno prima a Gemonio. Allora formavano una coppia emergente, adesso, nel 1979, la loro era una coppia "scoppiata". E mentre Renato era all'apice del successo nel cinema, Cochi se la cavava da solo in teatro. Si sarebbero rimessi insieme soltanto tanti anni dopo. Cochi mi rilasciò un'intervista sincera, ammettendo un periodo di crisi con la moglie al punto che viveva, da solo, in un residence. Se la prese anche con gli attori stranieri venuti in Italia. "Che vadano a lavorare nei loro Paesi", mi disse "che non vengano a rompere le balle qua".

1983: quando battibeccai con Fogar



Da vivo e non da morto, ovviamente: Ambrogio Fogar non mi stava molto simpatico. Perché secondo me era più apparenza che sostanza. Perché per le sue imprese cercava gli sponsor, come Reinhold Messner, ma, mentre lo scalatore altoatesino firmava poi imprese memorabili, lui si metteva prima o poi sempre nei casini. A mio parere e, ripeto, da vivo e non da morto, era più un bravo assicuratore che un esploratore. Al massimo, questo lo concedo, un buon velista. Ebbene, la sua fallimentare "operazione Polo Nord" del 1983, quando portò al Polo, in aereo, un simpatico cagnetto, Armaduk, mi fece arrabbiare. Così, in conferenza stampa, alla Gazzetta dello sport, battibeccai con lui e in pratica "tolsi la scena" agli altri giornalisti. Ne uscì un'intervista un po' pepata, una delle mie più riuscite.

venerdì 16 maggio 2008

Agosto 1982: Maria di Savoia tra i gufi





Nell'agosto del 1982 si sparse la voce che l'ultimo re d'Italia, Umberto II di Savoia, (che sarebbe poi morto il 18 marzo dell'anno seguente) era ricoverato in fin di vita a Londra. Allora, con il fotografo Lucio Berzioli, decisi di andare a trovare una delle sue sorelle, la principessa Maria, nella sua casa di vacanze a Champéry, in Svizzera. Senza preavviso. Per il timore che qualche "filtro", amici, parenti, segretari, potesse indurci a rinunciare. Fu tutto facilissimo. La principessa ci accolse con grande signorilità, mi parlò del fratello, dei figli, si fece fotografare con figli e nipotini, mi parlò della sua incredibile collezione di gufi, disegni, statuette, quadri, cuscini. "Qui ne vede parecchi", mi disse "ma sapesse quanti ne ho a Mandelieu". "Mi sarebbe anche piaciuto avere un paio di gufi vivi in casa. Ma come si fa? Avrei dovuto tenerli in gabbia e io non me la sento di tenere un animale in gabbia".

Marzo 1983: a passeggio con Bearzot




Bearzot lo conoscevo già da prima del Mundial di Spagna. Lo avevo intervistato a casa sua, dalle parti di Porta Lodovica, dove allora abitavo anch'io. E dopo il trionfo gli avevo anche mandato un telegramma di felicitazioni. Dopo il titolo mondiale, però, gli azzurri cominciarono a scricchiolare e su Enzo Bearzot, prima salvatore della Patria, ora piovevano improperi da tutte le parti, soprattutto dopo uno squallido pareggio con Cipro. Ci demmo appuntamento davanti a casa sua, paseggiammo per un po', poi ci fermammo al tavolino di un bar. Si difese dalle accuse a modo suo: sempre con il sorriso sulle labbra, ma con determinazione. "Accetto quelle degli sportivi", mi disse, "ma non quelle dei colleghi e dei giornalisti addestrati dai miei nemici". E aggiunse: "Io la Nazionale non la mollo".

Aprile 1982: Don Backy all'attacco




Conoscevo già Don Backy quando lo intervistai in occasione della sua commedia musicale "Marco Polo". Il solito Aldo Caponi, toscanaccio senza peli sulla lingua, che mi rilasciò un'intervista-sfogo davanti a un piatto di spaghetti (e offrì lui). Fu polemico con i giornalisti, con i suoi colleghi, con il mondo discografico. Disse che era pieno di cialtroni, che era un mondo falso e anche corrotto. Mi parlò dei suoi esordi, di Mario Riva che lo aiutò, dell'amicizia spezzata con Adriano Celentano. "Finì per una squallida storia di soldi", mi disse.

domenica 11 maggio 2008

Maggio 1981: a casa di Nicolò Carosio








Da bambino mi incollavo alla radio per ascoltare le sue radiocronache, a Milano abitava a due passi da casa mia e frequentavamo lo stesso bar-pasticceria, Gattullo. Poi un giorno ebbi l'occasione di intervistarlo. A casa sua. Mi fece preparare subito un caffè, dalla moglie Eugenia. Poi mi regalò la "radiocronaca" della sua vita straordinaria. Dal periodo fascista (quando lo chiamavano "pappetta nera" per il sospetto (ingiustificato) che si "pappasse" privilegi dal regime) alla defenestrazione dalla Rai, dalle sue gaffe clamorose (quando esordì in Nazionale Gigi Riva fece la cronaca sostenendo che l'ala sinistra in campo era Gigi Simoni), al "quasi gol". Dal "whiskaccio" ai lucchesi che, dopo una partita lo riempirono di botte.

sabato 10 maggio 2008

Ottobre 1981: Bertolucci a piedi scalzi





Subito dopo la prima nazionale, a Parma, del suo film La tragedia di un uomo ridicolo, Bernardo Bertolucci mi ricevette nella sua camera - mansarda dell'Hotel Palace Maria Luigia, e per prima cosa, dopo avermi salutato, si tolse le scarpe. L'incontro diventò un'intervista-confessione, nella quale il regista parlò di cinema, dei politici, del suo amore per Parma, la città dove è nato, del fastidio che provava per Roma, la città in cui vive. E polemizzò con Zeffirelli che l'aveva definito "uno sciocco velleitario socialista". Del regista toscano mi disse: "Lui è solo un buon artigiano. Mi fa ridere, il Zeffirelli".